La solitudine dei bullizzati

Tutti stanno parlando – e giustamente, mi pare – della storia del quindicenne romano che si sarebbe suicidato perché deriso dai compagni, che gli davano del frocio in quanto incline a indossare smalto per le unghie e abiti rosa. Una storia tremenda, a cui mi sento di mettere il condizionale solo perché non sappiamo mai davvero il motivo per cui una persona si uccide, posto che ce ne sia uno o mille o nessuno, solo l’insostenibilità della vita. La cosa agghiacciante, e forse la chiave di tutto, è la chiusa dell’articolo di Repubblica.it che riporta la notizia, e che vi copio e incollo per chiarezza:

Navigando su internet, però, si trova anche un altro profilo dedicato “al ragazzo con i pantaloni rosa”. Il nome è storpiato, la foto con la parrucca è sua, la bacheca sembra essere curata da qualcun altro che, ogni giorno, annota le sue frasi senza senso. Uno sfottò, certo. Ma nulla di omofobo, più un gioco tra ragazzi. Decisamente troppo per morire a 15 anni.

Minimizzare. Dare quasi la colpa alla vittima: non valeva la pena uccidersi per così poco. Vista così, le autrici dell’articolo sembra quasi che da ragazzine stessero dalla parte dei bulli: dalla parte di chi, quando veniva messo davanti alle sue responsabilità, la buttava sullo scherzo, sul “Non ti devi offendere”, sul “Ma quanto sei permaloso”. Ma non voglio psicanalizzarle, ché chiudere un articolo è difficile, e la cazzata sesquipedale può scappare. Ecco, è scappata: a quindici anni, avere una pagina Facebook su cui ti si sfotte quotidianamente è pesantissimo. E non è colpa tua, è colpa di chi ti sfotte, sia chiaro.

Chiunque abbia alle spalle una storia di bullismo lo sa: si soffre a morte, e le ferite non si rimarginano mai. Chi sopravvive e prospera si porta dietro a vita un desiderio di rivalsa, un “Vi faccio vedere io” che può diventare un motore potentissimo del successo. Ma si porta anche dietro una vulnerabilità totale: non tollera il ridicolo, soffre per gli sfottò, non riesce mai davvero a metterli in prospettiva. L’età aiuta, ma non risolve. Chi è stato tormentato perché diverso rimane diverso per sempre, a prescindere dalla natura della sua diversità.

La cosa più dolorosa, tuttavia, è la sensazione di avere solo nemici, e nessun alleato. Troppo spesso, chi viene deriso dagli altri non ha nessuno dalla sua parte. La famiglia lo incoraggia ad adattarsi: vestiti in modo più appropriato, non metterti lo smalto, sii più disinvolta, non scheccare, truccati ché sei bruttina, mangia ché devi mettere su un po’ di peso, dimagrisci un po’ ché sei grassa, e via dicendo. La famiglia, i professori, le figure d’autorità, che vorrebbero magari essere parte della soluzione, finiscono per essere parte del problema perché sono percepiti come ostili. È la solitudine, non i perculi, che ammazza la gente. I perculi, se altrove ti senti amato e appoggiato, li sopporti. Fanno male, ma li sopporti. Oltre una certa soglia diventano la misura della tua individualità.

Io non so mica perché questo ragazzino si sia ammazzato. Non lo conoscevo. Magari aveva altri problemi. Ma dubito che il bullismo che ha subito fosse parte della soluzione.

20 Risposte a “La solitudine dei bullizzati”

  1. No no, basta dire che non si sa perche’ quello si e’ suicidato, le statistiche parlano chiaro, gli adolecenti LGBT si suicidano 3 volte piu’ degli etero, e non perche’ ce l’hanno con la vita… ma perche’ gli altri che ce l’hanno con loro… ci sono studi a bizzeffe su queste cose, e’ impossibile dimostrare il contrario. Non possiamo ogni volta giustificare un’apparente eccezione in pieno stile italico…

    1. Non credo affatto che il suo essere omosessuale non c’entrasse, anzi: lo dico anche, che il bullismo sicuramente è una causa. Ma non può essere l’unica, oppure sarebbero tutti morti. Ci sono altri fattori, quando qualcuno si uccide, e tante volte non li sappiamo tutti: se fosse stato gay e felice e accettato, sono pronta a scommettere che sarebbe ancora vivo e con il dito medio ben dritto in faccia ai bulli.
      Ma non è vivo.
      Non possiamo sapere con certezza cosa l’abbia ucciso, e mi sembra prepotente (e strumentale) attribuire tutto a una causa soltanto.

      1. Si’ ma il punto non e’ trovare la singola causa scatenante del suicidio (ci basta quella che ha contribuito), il punto e’ dire che questo suicidio e’ un danno estremo del bullismo, il quale quando riesce a non uccidere si rende comunque responsabile di sofferenze e ferite psicologiche gravissime, che hanno comunque conseguenze negative eterne sulla qualita’ della vita delle persone LGBT. Se no sembra che, povero bullismo, stavolta gli e’ andata male perche’ forse ha ucciso qualcuno per sbaglio, mentre di solito poverino e’ innocuo…

        il problema e’ il bullismo, e questa morte ne rappresenta solo una conseguenza estrema e particolarmente evidente, ma e’ solo la punta di un iceberg di danni che nel lungo periodo sono altrettanto, se non piu’ pericolosi. Il problema non e’ la causa scatenante di questa singola morte.

      2. Due settimane fa guardavo gli “strilloni” della Stampa con il seguente titolo:

        Rimproverato per una nota, ragazzino si butta dal balcone.

        Questi sono i giornalisti che abbiamo.

      3. “il bullismo sicuramente è una causa. Ma non può essere l’unica, oppure sarebbero tutti morti […] se fosse stato gay e felice e accettato, sono pronta a scommettere che sarebbe ancora vivo”

        Giulia per favore, è come dire che non tutti gli imprenditori che vanno in bancarotta si suicidano, perdonami ma è una stronzata.
        E in quanto all’accettazione, parlando tra amici sono arrivato alla conclusione che per quanto felici si possa essere, l’aver subito il bullismo a scuola è una ferita che rimane e che resta presente proprio nel processo di accettazione.

        I caratteri diversi delle persone fanno sì che si agisca in maniera differente alle situazioni. Io, come tanti altri, sono andato avanti inizialmente a testa bassa davanti agli atti di bullismo, poi col passare degli anni sempre più a testa alta perchè nasce la consapevolezza che non sei tu ad essere sbagliato.
        Ma se avessi avuto un carattere più remissivo, e magari anche attacchi forti e PLATEALI (in rete, non limitati alla mia classe) forse non sarei qui a scrivere questo commento.

        Perdonami la parola “stronzata”, ma è esattamente quello che penso di quella frase. Perchè il bullismo PUO’ e spesso E’ l’unica causa.

    1. Sono un giornalista, in passato sono stato bullizzato per la mia omosessualità. D’adolescente ho tentato di suicidarmi per ben tre volte. Sono vivo per miracolo. Il mio gesto è stato ovviamente indotto dai bulli che mi prendevano in giro. Mi hanno perseguitato, violentato psicologicamente, reso la vita impossibile. Anche se sono ancora vivo, da anni faccio psicanalisi per curare le ferite tutt’ora aperte che porto come lascito di quella esperienza da incubo. Ho letto l’articolo di Repubblica, l’ho trovato molto offensivo, sembra dare ragione ai bulli. In merito a quanto detto nei post, il problema secondo me non sono solo i bulli, ma una società omofoba e machista che non vuole ammettere le sue colpe, preferendo nascondersi dietro un buonismo ipocrita. Articoli, ad esempio, come quello di repubblica sminuiscono la sofferenza degli adolescenti bullizzati che spesso può essere atroce, molti adulti invece (insegnanti, genitori) preferiscono ignorare l’odio e la rabbia che serbano molti adolescenti e si fanno silenti complici delle loro mostruosità ( perché di mostruosità trattasi).

    1. nella pratica qualsiasi bullismo ha bisogno di una “struttura” di prossimità chiusa, preferibilmente organizzata in forma gerarchica (classe/scuola, caserma, ufficio, spogliatoio etc..)
      quanto più la struttura è “aperta” tanto più il bullismo perde forza (sia perchè la vittima è meno isolata, sia perchè il persecutore è più “controllato” dall’ambiente circostante)
      mi colpisce vedere che la rete (in particolare i c.d. social network, per il vero) risultino ambienti molto favorevoli all’esercizio del bullismo pur non essendo nè chiusi nè organizzati gerarchicamente

  2. Mi hai trascinato nella mia adolescenza con violenza e in modo inaspettato. Sono uno di quelli che l’ha trasformata in motore e che può confermare che è un motore potentissimo, uno che ti fa dire “io posso” anche quando ci credi solo tu, uno che trasforma i miti in avversari da battere, uno che ti fa aspirare alla grandezza. Posso anche confermare che non ti abbandona mai, neanche dopo che hai vinto, neanche dopo che li hai doppiati tutti, neanche dopo che balli sulle loro tombe. Mai.

  3. Sono un’insegnante e tratto ogni anno il tema del bullismo. I ragazzi sono molto consapevoli del problema e quando viene chiesto loro di dire quale sia il peso più grosso da sopportare, rispondono spesso:”Il fatto che si viene presi in giro sui social networks”. Quindi, sì, sono d’accordo con chi dice che non si può minimamente sottovalutare la violenza di chi crea una pagina appositamente derisoria. Facebook stesso non ha fatto chiudere la pagina prima della morte del ragazzo, mentre ha impiegato circa tre giorni per chiudere il profilo di una ragazza siriana che si mostrava, per protesta, senza velo e con le maniche corte. C’è una responsabilità serissima, da parte della società e dei social network nel proliferare del bullismo. I bulli si sentono forti, perchè manca un controllo sociale. Se noi adulti, tutti uniti, cominciassimo ad isolarli e mostrare apertamente disapprovazione e le leggi fossero più severe verso questi episodi, i ragazzi non si sentirebbero soli.
    Quando in classe si parla di bullismo ci sono miei alunni che piangono e a me sale una tale rabbia che a stento mi contengo. Ma credo che molti abbiano capito da che parte sto. Una volta una ragazza di 15 anni è venuta a parlarmi e ha fatto coming out dicendomi che non se la sentiva di farlo con altri perchè aveva tanta paura. Fino a quando i ragazzi avranno paura i bulli vinceranno. Spetta a noi liberarli dal terrore di essere sbagliati.

    1. Martina, ti dispiace se uso il tuo commento per fare un altro post? Mi pare che l’argomento lo meriti, e la tua esperienza di “adulto in pace” è utile a far capire quale sia l’approccio giusto davanti a un problema che viene troppo spesso sottovalutato, e che genera a sua volta altro bullismo (perché chi è bullizzato oggi può diventare bullo domani, ricordiamolo).

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