Come stai?

“È la frase d’esordio nel mondo che ho intorno”, per citare Brunori Sas. Lo dicevo al primo giro, lo dico stavolta: questa non era mai stata una domanda, finora. Era un rito, comestai-benegrazie. Rispondere altro era insolito, potevi farlo al massimo con le persone con cui sapevi di poterti aprire. I più smargiassi rispondevano: “Alla grandissima!” e io ho sempre pensato che poi fossero gli stessi che nel segreto delle loro stanze si struggevano di dolore e insicurezza.

“Come stai?” è una domanda vera, adesso. C’è dentro un sacco di roba. Stai bene? Il tuo corpo sta bene? La tua mente sta bene? Come ti senti, come stai attraversando questo momento? Hai paura dei mostri che si nascondono dentro la nebbia di un futuro che non abbiamo ancora capito quando e se arriverà, mostri pronti a saltare fuori e azzannarti senza preavviso, perché così fanno i mostri?

Solo i più fortunati fra noi possono dire “Bene!”, rinchiudersi in casa con una scorta di lievito di birra e aspettare che passi. Sono quelli che “Ah, le gioie del lockdown”, cocchi, mentre fuori la gente muore perché in casa non ci poteva stare o crolla perché stare in casa li distrugge dal punto di vista psicologico o fisico, perché perde il lavoro, o non può più fare le cose che ti separano dall’essere solo un utile ingranaggio del produci-consuma-crepa. Che vi dobbiamo dire: beati voi, che questa infinita situazione di emergenza non vi riduce a una mappina. Io stavo una chiavica a marzo, sto una chiavica adesso, con la differenza che a marzo avevo una scadenza da rispettare e adesso ho un libro appena uscito (che era l’obiettivo di quella scadenza) e davanti a me… boh? E non credo di essere sola.

Nel discorso di Giuseppe Conte di domenica c’era una cosa, una scelta lessicale che mi è arrivata dritta allo stomaco: la richiesta al paese di “Essere forte”. Sorvolando su quello che è stato e non è stato fatto per potersi permettere di fare questa richiesta a cuor leggero, mi pare che tanto per cambiare si torni a un concetto di “forza” che è profondamente distruttivo, in cui la malattia mentale, la sofferenza emotiva, la rabbia e il panico devono essere repressi perché la vulnerabilità non è concessa. Essere fragili è un peccato mortale, bisogna essere “forti”, se non sei forte meriti di soccombere. Un’idea muscolare, machista dello stare al mondo: e infatti la questione della salute mentale non entra mai nei discorsi del Presidente del Consiglio. I soldi sì, i sussidi sì, l’economia sì: la salute mentale, no. E la salute mentale, a questo punto, è un problema grosso quanto i mostri nella nebbia. È assurdo, quasi disumano chiederci di essere “forti” quando non conosciamo l’orizzonte temporale delle cose, non possiamo fare piani o progetti e dobbiamo rinunciare a quasi tutto quello che ci fa stare bene. E non è un problema di Conte: nelle domande dei giornalisti, la questione della salute mentale è quasi sempre assente. Stiamo vivendo una condizione di trauma collettivo che rischiamo di trascinarci per generazioni, se non viene riconosciuta e tenuta in considerazione.

Stare male è normale. Lo è sempre stato, ma ora più che mai, e dobbiamo abbandonare l’idea che lottare per stare bene sia obbligatorio. No, gente, stare bene a questo punto è facoltativo. Se non ce la facciamo, se stiamo male, se siamo apatici e tristi perché dopo otto mesi non sappiamo ancora come e se ne usciremo (e l’Italia non è l’unico posto dove le cose vanno ancora male), se siamo depressi e abbiamo bisogno di aiuto, ecco, è normale. Forse questo è il momento di parlare seriamente di salute mentale, oltre che di salute fisica. È il momento di affrontare la paura della nebbia, prima ancora che dei mostri. E non a livello individuale, ma a livello comunitario, con un discorso chiaro che accetti il malessere come parte normale dell’esperienza umana, soprattutto in questo momento straordinario, condiviso in tutto il mondo come neanche le guerre mondiali sono mai state. Stiamo male. Accettiamolo. Abbracciamo il dolore, la stanchezza, l’abulia. Parliamone. Diciamolo agli amici, se non all’analista. Condividiamolo, questo star male. Non ci rende meno, ci ricorda che siamo vivi.