La Colonia in sé e la Colonia in te

Avevo forse dodici o tredici anni, la prima volta che un uomo mi ha messo le mani addosso in pubblico. Non l’ho mai raccontato a nessuno, né alla mia famiglia né ai miei amici, ma me lo ricordo molto bene: l’anno no, quello non me lo ricordo, ma il posto sì, e l’episodio anche. Camminavo sotto i portici che vanno dal Centro Studi di Pordenone (dove ho frequentato medie e superiori) a Piazza Duca d’Aosta, diretta all’ufficio di mio padre, che lavorava alle poste. È un tragitto breve, era ora di pranzo e io stavo, come tanti bambini, tornando a casa.

Ero sola e camminavo tranquilla, avrò avuto addosso le solite cose che avevo sempre, una felpa e un paio di jeans. Non avevo fretta e non avevo motivo di avere paura, Pordenone è un posto tranquillo dove non succede mai niente. Basta stare lontani dal “Bronx”, così sono chiamati i sottopassaggi del Centro Direzionale che allora ospitava un distretto sanitario: lì ci sono i tossici.

Incrocio un uomo. È basso di statura, tarchiato, faccia tonda e pizzetto. Quando siamo alla stessa altezza, lui sporge un braccio, dritto, e mi mette la mano sulla parte sinistra del torace, lì dove ci dovrebbe essere il seno ma non c’è perché ho forse tredici anni, la pubertà se la prende comoda facendomi crescere solo in altezza e comunque anche dopo non è che sarebbe cresciuto chissà che.

Io mi paralizzo. Lui ritrae la mano e se ne va come se niente fosse. Non mi ha mai guardata in faccia.

Quella è stata la prima volta. Ce ne sono state altre, più o meno gravi, più o meno esplicite, a cui ho reagito in maniera diversa, con schiaffi, spintoni e insulti, perché per allora avevo capito che nessuno aveva il permesso di toccarmi. Ma forse è da quel punto preciso che ho capito che non ero al sicuro da nessuna parte: che anche una bambina che cammina sola sotto i portici a Pordenone andando da suo padre non può farlo senza guardarsi intorno con sospetto.

Della faccenda di Colonia si parla in questi giorni in termini di diversità culturale, di uomini che vengono da paesi in cui le donne sono sottomesse, di maschilismo sistemico. In quarantatré anni che sto sul pianeta da femmina ho imparato una cosa: che io, in quanto femmina, non ho diritto a usare lo spazio come un uomo. O meglio, ce l’ho solo nominalmente. Faccio un esempio pratico: a me piace molto andare a correre. Per farlo, vado a piedi da casa mia al parco di Villa de Sanctis, passando per un tratto di strada poco frequentato, molto lungo e costeggiato da una vasta area verde non recintata. Lo faccio spesso, e non c’è mattina in cui io non sappia che se qualcuno volesse appostarsi e aspettare la prima che passa per trascinarla in mezzo agli alberi le possibilità di essere visto (o che qualcuna delle macchine che passano si fermi) sono molto basse. È anche lo stesso motivo per cui corro solo di mattina, e se corro dopo il buio (per ora è successo una volta sola) è solo in compagnia.
Lo faccio lo stesso perché statisticamente ho più probabilità di essere aggredita o stuprata da qualcuno che conosco (solo una minoranza degli stupri e delle violenze sono compiuti da persone sconosciute alla vittima) e anche perché è mio diritto vivere. Ma so benissimo che se succedesse ci sarebbe qualcuno che direbbe che non sarei dovuta passare per quella strada. Che sapevo a cosa andavo incontro, come se lo stupro fosse inesorabile, per chi si espone al rischio.

Non sto ipotizzando. L’hanno detto della ragazza stuprata alla Caffarella (una specie di bosco delle fate in mezzo a Roma) e perfino della ragazzina che è stata fermata a Prati e portata in un luogo isolato da un ufficiale di marina. Sì, anche della ragazzina fermata a Prati ho visto gente dire che sarebbe stato meglio non essere in giro a quell’ora alla sua età.

A Prati.
A Roma.
Nel 2015.
E ancora c’è gente che pensa che sia normale per le donne doversi difendere. Che sia normale che viviamo così, guardandoci le spalle, mai sole, sempre in compagnia, preferibilmente di un uomo e meglio se grosso, anzi, facciamo due. È la logica con cui in Arabia Saudita si impedisce alle donne di guidare, uscire di casa senza un mahram – un uomo che ne garantisca l’integrità fisica e morale – o anche solo a testa scoperta. La stessa logica, identica.

Mi sono sentita dire che se qualcuno mi fissa mentre passo sono gli “ormoni”. Mi sono sentita dire che devo prenderlo come un complimento, perché ho un’età, e dopo una certa età fa piacere. Mi sono sentita dire che devo fare corsi di autodifesa. Mi sono sentita dire che se mi vesto in un certo modo sono in cerca di complimenti, e allora di che mi lamento. Il sottinteso di tutto questo è che non c’è niente da fare, i maschi saranno sempre dei predatori, e spetta a me proteggermi dalla loro ferinità. Me l’hanno detto uomini e donne, senza distinzione: se per secoli ti hanno insegnato quello – che i maschi sono così, e che la loro aggressività sessuale è il prezzo da pagare per il desiderio e la passione – non riesci a credere che si possa vivere in altro modo. Ho visto anche gente lamentarsi della scarsa proattività dei maschi, del loro essere “le nuove fighe” (laddove l’organo genitale femminile viene tranquillamente utilizzato per indicare capriccio, debolezza, volubilità, indecisione). Ho visto, in sintesi, un intero mondo che vive al di fuori della comunità islamica girarsi dall’altra parte davanti a un quadro sociale in cui la molestia e la violenza sono considerate un’inevitabilità, un effetto collaterale, e non qualcosa che può e deve essere eliminato in favore di un rapporto più sereno fra le persone e della costruzione di un mondo più sicuro per tutti.

Pensate che le donne afghane siano sempre state infilate dentro dei sacchi? Ecco com’erano negli anni ’60:

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Fonte: http://www.theitalianeyemagazine.com/afghanistan-anni-60/

Ed ecco com’erano le iraniane nei giorni della Rivoluzione Islamica, quando ancora pensavano che avrebbero avuto la possibilità di continuare a scegliere se indossare o meno l’hijab:

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Fonte: http://it.euronews.com/2015/09/24/le-iraniane-senza-velo-di-36-anni-fa/

Tutto spazzato via in un attimo. È bastato rimangiarsela, quella promessa, tagliarle fuori dalla vita del paese considerando valida solo l’opinione di quelle fra loro che appoggiavano la repressione. Le Costanza Miriano del nostro mondo, quelle che vanno predicando la sottomissione, pubblicamente derise anche da quelle che poi sono convinte che sia normale che una donna smetta di lavorare se vuole passare più tempo con i figli.

Fra noi e le afghane c’è giusto lo spazio di una gentile concessione, c’è quello che rimane della tensione agonistica con cui le nostre madri e nonne hanno combattuto per poter lavorare, indossare quello che volevano, non dover sposare i loro stupratori, ottenere un processo giusto dopo aver subito una violenza: un processo che fosse non contro la morale ma contro la persona. Questo è possibile solo dal 1996. Io avrei compiuto 24 anni. Quella mano sulla mia tetta inesistente non era un’offesa a me, ma al pubblico demanio di cui il mio corpo faceva parte.

Tutto questo per dire che non è dell’Islam che bisogna avere paura, non sono gli immigrati a portare la violenza e la sottomissione delle donne. Sono sempre lì, sottotraccia, in attesa. Sono nella facilità con cui in Italia è diventato quasi impossibile interrompere legalmente una gravidanza in un ospedale pubblico, senza che il Ministro della Salute (una donna, al momento) alzi un polverone per garantire la corretta applicazione della legge. Sono nelle persecuzioni che subisce chi è stata violentata per anni dagli uomini del suo paese e vuole solo ottenere giustizia. Sono negli stupri di gruppo con selfie finale. Sono nel demansionamento delle donne incinte, nella violenza silenziosa subita dalle braccianti nelle aziende agricole. Sono nella percentuale di donne che non lavorano e dipendono dalla famiglia o da un uomo per il loro sostentamento. Sono, soprattutto, nel modo in cui ogni piccola o grande molestia viene considerata parte della vita, qualcosa che ci dobbiamo aspettare.

Smettiamo di sentirci superiori. Non abbiamo niente da insegnare a chi arriva qui: fra il nostro mondo e il loro mondo c’è solo la fragile barriera di una legge che in un attimo può essere cancellata, perché in fondo si pensa che la libertà delle donne sia già troppa.

53 Risposte a “La Colonia in sé e la Colonia in te”

    1. Da qualche giorno cercavo in rete qualcosa che riflettesse il mio punta di vista sulla questione, ora da te non avrei potuto trovare di meglio, in sostanza e forma, grazie!

  1. Tutto sacrosanto, è bello che ci siano persone che sentono il bisogno di ragionare. Ma ti avviso, sei pronta a prendere una vagonata di insulti?

      1. Giulia Blasi, ho una notizia da darti. Negli ultimi cento anni, più o meno, in Occidente si è svolto un processo che va sotto il nome di emancipazione femminile, che naturalmente si è dipanato non senza contraddizioni ed è ancora lungi dal potersi considerare concluso. In alcuni paesi, tra i quali la Germania, esso è in fase avanzata, in altri come l’Italia, che sconta specifiche arretratezze, la strada da fare è ancora tanta. Nondimeno, la situazione femminile in Occidente è incomparabilmente migliore di quella di altre aree e culture del pianeta, Islam, ma anche India e Cina. Negare ciò significa negare un’evidenza palmare. Per quanto riguarda i fatti di Colonia, premesso che è giusto e doveroso mettere in guardia dalla possibile deriva xenofoba e persino razzista indotta dalla percezione di determinati avvenimenti e dalla loro analisi sommaria, che la responsabilità penale è personale e che le generalizzazioni sono sempre indebite casi del genere, l’onestà intellettuale ci impone tuttavia di riconoscere il dato di fatto che in merito alla figura femminile in quanto tale, al ruolo sociale e civile della donna e alla sua tutela giuridica, le diverse culture hanno mentalità, costumi, usi, sensibilità prassi e norme profondamente diversi. Se è vero che non tutti i musulmani sono violenti e misogini, è almeno altrettanto vero che mentalità, usi, costumi e ordinamenti giuridici dei paesi occidentali in merito alla questione femminile (ma non solo, si pensi alla libertà religiosa e soprattutto di coscienza del singolo) sono profondamente diversi da quelli dei paesi islamici, compresi quelli meno distanti dall’Occidente, quali Turchia o Tunisia. Ora, questa innegabile diversità della sensibilità e dell’orientamento etico e giuridico dell’Islam rispetto all’Occidente sulla questione della donna difficilmente può essere considerata estranea ai numerosi, ancorché minoritari, casi di violenza sulle donne in cui sono implicati maschi islamici. I pur preoccupanti casi di violenza esercitati da occidentali sulle donne sono certamente ascrivibili a una mentalità patriarcale e maschilistica che, se tuttora infesta alcune società dell’Occidente, per esempio l’Italia, il cui assetto sociale e culturale sconta arretratezze in altri paesi superate, tuttavia è da considerarsi sempre più residuale, ovvero un fossile che ancora sprigiona effetti venefici, ma, benché con una tendenza non lineare, in via di superamento. Mi pare evidente invece che la stessa considerazione non può essere estesa ai paesi islamici, dove il maschilismo e la pesante discriminazione di cui le donne sono vittime risultano profondamente radicati nella mentalità e negli ordinamenti giuridici e quindi tutt’altro che residuali. A qualcuno il mio punto di vista sulla situazione della donna in Occidente potrà sembrare, forse anche con qualche ragione, eccessivamente ottimistico. Rimane comunque vero che la condizione femminile in Europa e nel resto dell’Occidente ha conosciuto, attraverso un processo lungo e faticoso e non privo di contraddizioni, un’emancipazione che in altre aree del mondo, non solo islamiche peraltro (si pensi all’India, ma anche alla Cina), pare del tutto di là da venire.
        Concludo osservando che se certamente non si possono e non si devono esportare dall’Occidente verso gli altri paesi e culture la democrazia e il “progresso”, nemmeno si deve consentire che si importino in Europa da altri paesi e culture la tirannia e l’arretratezza.

        1. Antonio Longo, al netto dell’ottimismo che non è razionalmente giustificabile (alcuni processi sociali e culturali si possono anche invertire nel corso dei secoli), la tua disanima è semplicemente perfetta e coglie nel segno la faziosità di sottofondo che traspare nel ragionamento di Giulia.

          1. Certo, accolgo la tua osservazione sull’ottimismo, a proposito del quale io stesso avevo già scritto che forse esso poteva apparire eccessivo. In ogni caso mi fa piacere che tu abbia colto e condiviso il senso complessivo del mio ragionamento e ti ringrazio dell’apprezzamento che hai voluto manifestare.

        2. condivido al 100%.
          All’interno del contesto Islamico, la donna ha *ideologicamente* un valore inferiore all’uomo.
          In tutti i paesi del mondo dove vige la legge Sharia, la testimonianza di una donna equivale alla meta’ della testimonianza di un uomo. E questa legge proviene dritta-dritta dal Corano.
          Se una donna viene violentata, in Italia, questo e’ considerato un crimine.
          Certo, c’e’ ancora molto da fare per raggiungere un rispetto vero e totale della donna da parte di tutti gli individui maschi della societa’. Ma se una donna viene violentata in un paese islamico, ha bisogno di 4 testimoni MASCHI per poter dimostrare che c’e’ stata violenza sessuale e che il rapporto non e’ stato consenziente. Direi che c’e’ un abisso di differenza culturale e qualche secolo di emancipazione.

          1. Non tutti i paesi a maggioranza islamica hanno lo stesso ordinamento giuridico, le stesse leggi o le stesse usanze.
            Il problema più grosso di queste conversazioni è che tutti diventano improvvisamente esperti di Islam, anche quando – a occhio e croce – ne sanno parecchio meno degli altri e non hanno mai fatto lo sforzo di informarsi leggendo chi magari ha studiato la cosa in maniera più approfondita.

          2. Qui infatti non si sta facendo un processo alla religione islamica, ma si sta discutendo di come gli uomini usano questa religione per sottomettere la donna. Tu, Giulia, ti sentiresti più tranquilla, come donna, in un paese islamico? ti piacerebbe indossare il velo o il burka? ti piacerebbe non potere guidare senza avere vicino tuo marito, come succede in Arabia Saudita?
            Sei esperta di paesi islamici? che prove hai da portare, per dimostrare che la donna in quei paesi ha lo stesso rispetto e la stessa considerazione che nel cosiddetto mondo “occidentale”?

  2. Condivido appieno la sostanza di questo post meno un punto: non abbiamo niente da insegnare a chi viene a vivere in occidente da paesi di cultura islamica. Se è vero che la strada da fare per una vera parificazione tra uomo e donna é ancora lunghissima , assimilare la condizione femminile anche nel nostro paese a quella di un paese nord africano è una bella e buona bufala e lo dico da persona che vive in Tunisia ed ha visto con i propri occhi il fiorirè dei fazzoletti dopo l’attentato di Sousse solo per paura degli integralisti salafiti e non per convinzione e che vede le facce lascive e violentatrici (si anche uno sguardo può esserlo) dei giovanotti a passeggio sulla Corniche Abu Jafar di Sousse al passaggio di una rara turista magari solo perché bionda e con un paio di leggins e perché è appena più truccata. Basta parlare con una qualunque insegnante magari di un istituto professionale per capire come i suoi studenti mussulmani la considerano: un essere inferiore non degno di essere considerato. Da nemico delle generalizzazioni ammetto che quanto ho appena descritto non può essere esaustivo della descrizione delle sfaccettature del mondo mussulmano altresì posso dire che nelle aziende che ho diretto le donne di valore dopo le loro maternità sono cresciute come inquadramento e retribuzione e non credo neanche di essere l’unico caso. Dobbiamo finire con la logica autolesionista del “in fondo siamo tutti uguali” magari condito con un pizzico di senso di colpa post colonialistico. La cultura occidentale ha ancora molto da insegnare ai cosiddetti profughi e dobbiamo pretendere che chi arriva si adegui e non, in nome di malinteso e fraudolento multiculturalismo, adeguarci noi.
    Un saluto cordiale.
    Fabio Catelan

    1. Qualunque donna occidentale ti potrà dire di aver sperimentato su di sé le stesse discriminazioni e molestie, in vari gradi a seconda della classe sociale e della provenienza geografica. Ma agli uomini (e alle donne) occidentali conviene continuare a pensarsi superiori. È più comodo.

      1. Questa è una semplificazione che banalizza qualsiasi ragionamento. Partendo dal presupposto che chiunque in occidente non possa fare una riflessione scevra dalla presunzione di superiorità (per comodità…mah) il dibattito è impossibile. Chiunque non appoggi la sua tesi è in errore. Compresa lei tra l’altro (a meno che sia l’unica occidentale a fare da eccezione alla regola). Una fallacia logica abbastanza comune in realtà: “Ad hominem circostanziale”.

      2. Il maschilismo, purtroppo, esiste ovunque, ma che sia presente in misura uguale in tutto il mondo è semplicemente falso.
        Non si tratta di sentirsi superiori e compiacersi di essere migliori, ma di venire a patti con la realtà, anche se questa non ci piace: la mentalità misogina è molto più radicata, diffusa, accettata come normale in certe culture che in altre.
        E credo che qualcosa da insegnare ce l’abbiamo, così come abbiamo ancora tanto da imparare.

      3. Le stesse discriminazioni e molestie? Con calma. Fischi e battute volgari me li sono beccati anche io, camminando per strada, in Italia, e li ho trovati disgustosi; girare da sola è rischioso specialmente la sera e non dovrebbe esserlo, e siamo d’accordo che la misoginia è un retaggio trasversale e che i diritti acquisiti siano, anche per il fatto che la loro acquisizione è molto recente, fragili e precari.

        Però ci sono diverse gradazioni, e non vedo il motivo per non considerarle solo perché non ci si vuole “sentire superiori”, fatto salvo il principio che non bisogna fare il gioco degli xenofobi, ai quali peraltro dei diritti delle donne non importa un accidente in quanto usano la vicenda come mero pretesto per dare addosso agli stranieri.

        I diritti delle donne non sono pienamente realizzati da nessuna parte, e bisogna continuare a lottare, ma non è che non ci siano paesi messi meglio e paesi messi *molto* peggio: le differenze ci sono anche tra gli stessi paesi musulmani, che non sono un blocco monolitico – il diritto di famiglia in Marocco è anni luce avanti ad altri della zona, per dire. Come si fa a negare che in Europa i diritti delle donne siano, oggi, più estesi e considerati che altrove? E che “la fragile barriera di una legge” sia il risultato di una lunga battaglia culturale e sociale che qui si è consumata e altrove invece no, o non del tutto? Il che non vuol dire che in Europa o in Italia sia tutto perfetto, ma ci sono differenze eclatanti.
        Per esempio, oggi in Europa non devo girare dentro a un sacco come mi capiterebbe se fossi, sempre oggi, un’afgana.
        Non sono stata infibulata da piccola, come mi sarebbe capitato quasi certamente se fossi nata in Somalia. Nessuno mi ha sparato perché volevo andare a scuola; e nessuno ha mai pensato che non ci dovessi andare in quanto femmina.
        Nessuno mi costringe a vivere in una baracca isolata quando ho le mestruazioni.
        Mia madre non mi ha abortito quando ha saputo di aspettare una femmina.
        Posso guidare la macchina anche senza che ci sia un mio familiare maschio.
        Posso farmi visitare da un ginecologo maschio, e andarci senza il permesso di nessuno.
        Mi sono sposata senza che il matrimonio venisse combinato dalla mia famiglia, e ho dovuto aspettare di avere almeno diciotto anni.
        Nessuno mi avrebbe potuto condannare alla lapidazione se fossi rimasta incinta fuori dal matrimonio.

        Perché la condizione femminile nel mondo vuol dire anche questo, non soltanto il sacrosanto diritto ad avere uno stipendio adeguato o a girare per strada senza rischiare una pacca sul sedere o una palpata al seno.
        Il fatto che in Europa siamo riusciti a ottenere una manciata di diritti, nonostante secoli di degradante sopraffazione di genere avallata da una mentalità patriarcale radicata, lungi dall’essere una dimostrazione di una intrinseca superiorità è anzi un buon auspicio perché ci si riesca un giorno anche altrove.

        Ah, giusto una nota: in Afghanistan e in Iran, dopo lo scatto di quelle fotografie, è in effetti accaduto qualcosa. Pare che questo qualcosa sia legato a interpretazioni molto restrittive di una religione.

      4. Da quanto ho sentito da parte di moltissimi mussulmani, una donna è da rispettare solo se si comporta e si veste in un certo modo.

    2. Grazie Fabio per questa puntualizzazione. Sono convinto che la discriminazione contro le donne – e contro gli omosessuali – sia INCOMPARABILMENTE più forte, feroce e pericolosa in paesi non solo di cultura islamica (anche nell’Africa cristiana, per esempio) che in Europa. Non significa che qui in Italia la battaglia dei diritti sia vinta, al contrario: siamo tra i più arretrati d’Europa. Eppure chi crede nell’universalità dei diritti deve trovare una giusta intransigenza nel difendere ciò che è stato conquistato con lotte secolari: Laicità, uguaglianza di genere, anti-maschilismo: sono conquiste da difendere da nemici interni e esterni. L’integrazione richiederebbe corsi di formazione per il comportamento sociale – non solo degli stranieri migranti ma anche di buona parte degli italiani. L’Islam vive questa involuzione radicale che ha diverse forme, dalla follia omicida alla normale discriminazione sulla base delle scritture, della parola del Profeta. Meno religione e più ragione è il solo augurio da fare a queste società in crisi. Ma il primo a non volere persone che ragionano è lo stesso Occidente che vive del radicalismo, che ci lucra vendendo armi e comprando consenso politico. Ricordiamoci di stare sempre e comunque dalla parte degli offesi.

  3. metti seriamente in correlazioni fenomeni di criminalità sporadica, e menomale che lo sono, seppur gravissima con una ordinarietà culturale che caratterizza certe società?
    altro che fare jogging tranquilla, tu in certe società non potresti nemmeno lontamente pensare di essere quella che sei, vestire come vesti, ambire alla libertà che hai.
    e sì, siamo superiori proprio perchè tu sei quella che sei. Trattare l’argomento partendo da queste premesse equivale a non trattarlo per nulla.

  4. E quindi facciamo di tutta l’erba un fascio… gli uomini sono porci schifosi a qualsiasi latitudine. Istinti primordiali e culture patriarcali producono lo stesso effetto, e chi siamo noi per indignarci se gruppi di decine di stranieri – non il molestatore di Pordenone, o lo stupratore di Prati – si organizzano a Capodanno per mettere le mani addosso alle donne eccetera.
    No, non me la bevo. Che la mentalità di molti uomini rimanga becera e assolutamente da condannare anche in Italia è purtroppo vero, ed è un fenomeno da continuare a combattere. Ma che il fenomeno abbia le stesse dimensioni in un ambiente urbano mediamente più istruito dove la donna ha un suo lavoro e una vita al di fuori di casa, o nell’entroterra di una qualsiasi provincia rurale a bassa scolarizzazione dove la donna deve cucinare e basta, non credo proprio. E se ci sono differenze tra Italia e Italia, ce ne sono anche tra Paesi e Paesi: ti sentiresti più tranquilla ad andare a correre a Pordenone, o al Cairo?
    Poi certo, continuiamo a negare i problemi, lasciando che immigrazione e multiculturalismo si regolino da sé, tanto chi siamo noi per criticare eccetera. Poi però non stupitevi se il dibattito sull’immigrazione lo regolano i Salvini o i Le Pen di turno, con il loro razzismo e le risposte semplicistiche a problemi complessi. Ma almeno hanno risposte, e per quello sempre più gente li ascolta. Sinistra italiana e liberal a ogni costo all’estero, invece, sanno solo pontificare dalla loro posizione di superiorità culturale.

  5. Grazie per quello che hai scritto.
    E’ molto più comodo (e rassicurante) sentirsi superiori invece che guardare quanta strada rimanga da fare.
    Quello che mi ha lasciata perplessa (per non dire offesa) è stato sentire “Vedi, stai attenta tu che vai sempre in giro”: un’altra volta il problema deve essere nostro “che non ci proteggiamo abbastanza da chi potrebbe farci del male”.

  6. Condivido tutte le riflessioni che hai fatto, ma su un punto non sono d’accordo: da donna ritengo comunque che la nostra società sia migliore di altre. Non superiore, ma migliore. C’è tanta strada da fare, è verissimo, ma non voler vedere il nesso tra la provenienza socio-culturale di tanti molestatori e la loro mentalità significa chiudere la porta da subito ad un dibattito costruttivo su un tema che sta diventando sempre più monopolio esclusivo ed urlato delle destre ciarlone ed estremiste. E questo sì che è un problema.

      1. Grazie a te, a Giulia Blasi e a chi ha commentato contribuendo ad arricchire questo discorso. Oggi ne ho parlato anche su Facebook con un docente di matematica.
        Ho dovuto faticare un po’ per farmi capire e non so se ci sia riuscita.

        Uno dei motivi che mi rende ancora più sensibile al tema della libertà femminile e degli stereotipi di genere è che io faccio di tutto per restare me stessa fregandomene.
        Dal disinteresse per trucco, borse e scarpe fino al viaggiare sola. E vorrei poterlo fare sempre più liberamente. Non sempre meno. E se mentre viaggio mi dovesse succedere qualcosa vorrei che nessuno dicesse che me la sono andata a cercare.

        Quando ho fatto il Cammino di Santiago un uomo italiano, moderno e aperto mi ha detto: “certo che questo è il solo viaggio che voi donne potete fare da sole”. Ecco. No. Non lo è e non deve esserlo. Sono stata in India, Thailandia, Cambogia, Vietnam e Brasile. E voglio continuare. Così come voglio camminare lungo il naviglio per 18 km senza che 4 italianissimi ciclisti mi urlino cose.

        Non importa perché mi abbiano detto “bella signora”, importa che a un uomo non capita e che mi hanno reso insicura, per un po’.

          1. Se non vuoi capire, non capire.
            Ho detto che paragono uno stupro a uno sfottò su strada?
            Ho detto che comunque è fastidioso e ti fa sentire insicura: erano 4 uomini in bici e io ero sola a piedi lungo il naviglio. Non ho mai paura, ma so che in quanto donna sono più a rischio e questo basta per rompere i coglioni.
            E comunque perché diamine devi dirmi bella signora in quel modo? Perché? A un uomo nessuno direbbe alcunché.
            Perché cammino e non sono abbastanza sportiva? Perché devono fare i maschi per forza? Qualsiasi sia il motivo non lo fai. Punto. Non c’è bisogno.

          2. Francesco, preferirei che me lo dicesse una donna, ma ,nel caso, ci rido su.
            Ho avuto avances di uomini ma non mi sono mai incazzato con chi le ha fatte. 🙂
            Un conto sono le avances, un conto la violenza.

  7. d’accordo su tutto, specie sulla differente libertà nell’usare gli spazi (con le dovute differenze da fare) e il doversi difendere delle donne a ogni latitudine.

    io ho potuto studiare ma ho dovuto lottare per farlo. ho guidato per ore di nascosto per una pillola del giorno dopo. non mi faccio mantenere da un uomo ma subisco molti sguardi critici e boicottaggi pratici per questo. sono stata abusata da chi conoscevo e me la sono cercata, mi hanno detto, specie le donne. io, e tante altre giovani donne che ho incontrato. in italia. dove emerge molto meno di quanto dovrebbe.

    ma una cosa non la capisco ne’ la condivido: perché non lamentarsi comunque della scarsa proattività degli uomini? dovere scegliere tra stronzi che allungano le mani e godono sadici nell’impaurirti e altrettanto stronzi buonianulla che cambiano marciapiede o guardano allibiti da lontano filmando i fatti con il telefonino (o finti “salvatori di donne” che offrono protezione da altri uomini per avere loro stessi il controllo) vi pare bello?

    non sono lesbica ma vorrei tanto esserlo.

    1. Perché la gente resiste al cambiamento. Ma mi riprometto di scriverne, su questa cosa, perché è un po’ che la rimugino. Poi mi dici cosa ne pensi.

  8. La tua analisi e’ molto interessante.
    Nulla e’ permanente nel mondo vivente e
    la fragilita’ delle conquiste sociali lo testimonia.
    Un problema che si pone e’ l’introduzione di una gran numero di persone che in larghissima parte non hanno vissuto i conflitti per l’emancipazione femminile o li hanno vissuti risolvendoli come in Iran o in Arabia.
    Questo e’ un cambiamento epocale. In questo contesto la “Colonia in noi”, per dirla con le tue parole, riemerge ancor piu’. L’accoglienza di larghe masse di persone e la radicalizzazione di conflitti politici e sociali porta quasi ineluttabilmente una riduzione della capacita’ di analisi.
    In questi casi la risposta sociale mima la risposta individuale di fronte al pericolo e spesso dittature e perdite di diritti sono state la conseguenza di questi periodi.
    L’incertezza economica di questi anni ha eroso molte delle conquiste dei lavoratori che oggi vengono considerate privilegi, spero che lo stesso non accada per le conquiste femminili.

  9. Un articolo molto interessante e mi spiace per quel che hai subito.
    Far cambiare mentalità agli uomini in Italia (ma anche a diverse donne che la pensano come loro) è difficile ma non impossibile, di sicuro è una strada lastricata di solitudine.
    Se da uomo rimproveri un amico per una battuta sessista una opinione che non condividi sulle donne, sul loro diritto a pari retribuzioni, l’uso continuo dell’espressione “troia”, ti domandano “da che parte stai?” come se si dovesse stare su parti opposte e difendere il proprio genere.
    Allo stesso modo vorrei che le donne quando scrivono o ragionano – che so, sui libri, sui film – non lo facessero “da uomini” per compiacere un target dominante.
    Tempo fa un gruppo di donne scrittrici italiane si è ribellata contro lo stereotipo “letteratura per signore” usato in senso spregiativo. Mai nessun uomo (né donna) ha usato “letteratura maschile” nello stesso identico modo, eppure quella “letteratura per signori” esiste.
    C’è un uso inaccettabile del corpo femminile nella pubblicità, e così via. Ribellarsi, fare notare certe frasi, significa passare per rompiballe e avere sempre meno amici.
    Perché, sì anche i nostri amici (e amiche) partecipano a questa società industriale occidentale dove le donne sono al servizio di un uomo e se una donna è arrivata lì è perché un uomo glielo ha permesso.
    Quante volte hai sentito dire da un amico “ho un buon lavoro, ho la mia donna” (e che è tua?). Ripartire dalle parole per costruire idee e concetti.
    Solo una cosa, da amante della legge e delle norme, devo rigettare l’idea che i paesi arabi siano legislativamente più avanzati dell’Italia. Ci sono paesi musulmani dove il Codice penale la dice tutta sulla condizione femminile. Quel tipo di società dove la donna è la regina della casa e solo di quella è inaccettabile e occorre anche dirlo senza la politica del “ma anche”.
    In Italia ci sono grossi problemi di discriminazione e di violenze, un deficit culturale che impregna uomini e donne e che si deve a un cattolicesimo che subordina la donna all’uomo, ma non si può dire che non ci siano gli strumenti giuridici per difendersi.
    Che poi le donne non li usino o siano in difficoltà ad usarli questo è un altro discorso, difficile e doloroso.
    Il primo passo da compiere secondo me è agire su chi ci sta vicino, amici, parenti, conoscenti, follower.
    Una strada che spesso si percorre in solitario.

  10. Le cose che scrivi sono condivisibili, ma hai pensato che sono le stesse cose che pensa e che accadono anche ad un uomo?
    Marco

  11. Scrivere in questa maniera, vuol dire annullare in un sol colpo tutte le lotte delle donne in secoli di storia, tutto ciò che è stato conquistato. C’è a mio avviso un risvolto perbenista e anche vittimista. Non si tiene conto di ciò che la società occidentale è diventata oggi, degli uomini occidentali, nel bene e nel male. L’autrice di questo post, probabilmente, ne è un vivido esempio. La prima volta che una donna mi ha toccato il culo e il pacco senza il mio permesso avevo 9 anni, la prima volta che un uomo mi ha sputato in faccia 11, la prima volta che sono stato denigrato in pubblico probabilmente la stessa età. La prima volta che ho ricevuto una sberla da un estraneo…non me lo ricordo…sono troppe per essere ricordate. Il mondo è una brutta bestia, e non solo per le donne, cara mia. Non facciamo finta che non ci siano state conquiste, che una donna ora non sia libera di fare tutto quello che gli pare. Poi certo se prendiamo in considerazione, singoli atti, singole località disperse in qualche foresta dell’agrigentino, forse è vero…gli uomini sono ancora arretrati. Una cosa è vera, l’uomo è più aggressivo, ha una fisicità diversa e se un uomo non reputa offensivo una pacca sul culo, per una donna c’è un retropensiero per lo più denigrante, un segno di sottomissione…ma è sempre sottomissione, una discriminazione di genere, o solo uno stronzo in genere??? Vi dò una grande notizia: nel 2016 i ragazzi di oggi hanno imparato che una pacca sul culo a una ragazza non la si può dare senza il suo consenso. Non credo che molti immigrati abbiano la stessa sensibilità. Poi qualche eccezione c’è sempre, d’altronde anche il nostro mondo è brutto e vario…e qualche volta anche marcio.

    1. Parola per parola condivido. Compresa l’esperienza traumatica non su tetta ma su coscia. Nella corriera che mi riportava a casa da scuola.
      Grazie. Ho letto il suo articolo su segnalazione di Michela Murgia che ringrazio
      Piera Codognotto

    2. “singole località disperse in qualche foresta dell’agrigentino, forse è vero…gli uomini sono ancora arretrati. ” “Non credo che molti immigrati abbiano la stessa sensibilità.”
      Tu sei razzista.
      Ed anche superficiale, quanto basta per non essere in grado di cogliere il senso del pensiero di Giulia.
      Come puoi confrontare una sberla da un estraneo con la condizione di paura continua, di vulnerabilita’, di continua esposizione alla violenza, con la perpetua violazione di diritti di base che subiscono le donne? Tutte le donne, ovunque, per tutta (o quasi) la loro vita. Una sberla e’ un caso isolato. Forse dovresti essere preso a sberle casualmente, una o piu’ volte al giorno, anche quando proprio non te lo aspetti, per tutta la vita. Forse poi capirai.
      Ai razzisti non piace sentirsi dire “Smettiamo di sentirci superiori.”

  12. Parola per parola condivido. Compresa l’esperienza traumatica non su tetta ma su coscia. Nella corriera che mi riportava a casa da scuola.
    Grazie. Ho letto il suo articolo su segnalazione di Michela Murgia che ringrazio
    Piera Codognotto

    1. Piera, ho una notizia da darti. Negli ultimi cento anni, decennio più decennio meno, in Occidente si è svolto un processo che va sotto il nome di emancipazione femminile, che naturalmente si è dipanato non senza contraddizioni ed è ancora lungi dal potersi considerare concluso. In alcuni paesi, tra i quali la Germania, esso è in fase avanzata, in altri come l’Italia, che sconta specifiche arretratezze, la strada da fare è ancora tanta, soprattutto in determinati contesti sociali e geografici. Nondimeno, la situazione femminile in Occidente è incomparabilmente migliore di quella di altre aree e culture del pianeta, Islam, ma anche India e Cina. Negare ciò significa negare un’evidenza palmare. Per quanto riguarda i fatti di Colonia, premesso che è giusto e doveroso mettere in guardia dalla possibile deriva xenofoba e persino razzista indotta dalla percezione di determinati avvenimenti e dalla loro analisi sommaria, che la responsabilità penale è personale e che le generalizzazioni sono sempre indebite in casi del genere, l’onestà intellettuale ci impone tuttavia di riconoscere il dato di fatto che in merito alla figura femminile in quanto tale, al ruolo sociale e civile della donna e alla sua tutela giuridica, le diverse culture hanno mentalità, costumi, usi, sensibilità, prassi e norme profondamente diversi. Se è vero che non tutti i musulmani sono violenti e misogini, è almeno altrettanto vero che mentalità, usi, costumi e ordinamenti giuridici dei paesi occidentali in merito alla questione femminile (ma non solo, si pensi alla libertà religiosa e soprattutto di coscienza del singolo) sono profondamente diversi da quelli dei paesi islamici, compresi quelli meno distanti dall’Occidente, quali Turchia o Tunisia. Ora, questa innegabile diversità della sensibilità e dell’orientamento etico e giuridico dell’Islam rispetto all’Occidente sulla questione della donna difficilmente può essere considerata estranea ai numerosi, ancorché minoritari, casi di violenza sulle donne in cui sono implicati maschi islamici. I pur preoccupanti casi di violenza esercitati da occidentali sulle donne sono certamente ascrivibili a una mentalità patriarcale e maschilistica che, se tuttora infesta alcune società dell’Occidente, per esempio l’Italia, il cui assetto sociale e culturale sconta arretratezze in altri paesi superate, tuttavia è da considerarsi sempre più residuale, ovvero un fossile che ancora sprigiona consistenti effetti venefici, ma, benché con una tendenza non lineare, in via di lento superamento. Mi pare evidente invece che la stessa considerazione non può essere estesa ai paesi islamici, dove il maschilismo e la pesante discriminazione di cui le donne sono vittime risultano profondamente radicati nella mentalità, nella sensibilità più profonda vorrei dire, e negli ordinamenti giuridici e quindi tutt’altro che residuali. A qualcuno il mio punto di vista sulla situazione della donna in Occidente potrà sembrare, forse anche con qualche ragione, eccessivamente ottimistico. Rimane comunque vero che la condizione femminile in Europa e nel resto dell’Occidente ha conosciuto, attraverso un processo lungo e faticoso e non privo di contraddizioni, un’emancipazione che in altre aree del mondo, non solo islamiche peraltro (si pensi all’India, ma anche alla Cina), pare del tutto di là da venire.
      Concludo osservando che se certamente non si possono e non si devono esportare dall’Occidente verso gli altri paesi e culture la democrazia e il “progresso”, nemmeno si deve consentire che si importino in Europa da altri paesi e culture la tirannia e l’arretratezza.

  13. No, io non ci sto. non ci sto a farmi mettere nel mucchio. Abbiamo una cultura di rispetto ed uguaglianza che i paesi islamici neanche si sognano.
    Sai che quando vengono qui, non vogliono farsi curare da un medico donna? Non vi riengono in grado di lavorare.
    Esibiscono il numero delle loro mogli come noi parliamo dei nostri cani o dei nostri gatti.
    Il loro paradiso, è fatto di vergini a loro disposizione.
    E le donne , ne hanno uno?
    Per loro, le donne non sono pari all’uomo, sono un’oggetto, un animale da compagnia.
    Io questa tesi la ripugno, e mi ripugna essere paragonato a loro.
    Si, avremmo molto da insegnare agli stupratori di Colonia….

    1. wow, che commento! la sagra del luogo comune… i maschi nei paesi islamici sono più o meno 800 milioni, li conosci tutti?

      1. no, così come chi ha scritto questa articolo non conosce tutti i maschi dell’Europa…. quindi come può parlare di tutti?

      2. Franz, ho una notizia da darti. Negli ultimi cento anni, decennio più decennio meno, in Occidente si è svolto un processo che va sotto il nome di emancipazione femminile, che naturalmente si è dipanato non senza contraddizioni ed è ancora lungi dal potersi considerare concluso. In alcuni paesi, tra i quali la Germania, esso è in fase avanzata, in altri come l’Italia, che sconta specifiche arretratezze, la strada da fare è ancora tanta, soprattutto in determinati contesti sociali e geografici. Nondimeno, la situazione femminile in Occidente è incomparabilmente migliore di quella di altre aree e culture del pianeta, Islam, ma anche India e Cina. Negare ciò significa negare un’evidenza palmare. Per quanto riguarda i fatti di Colonia, premesso che è giusto e doveroso mettere in guardia dalla possibile deriva xenofoba e persino razzista indotta dalla percezione di determinati avvenimenti e dalla loro analisi sommaria, che la responsabilità penale è personale e che le generalizzazioni sono sempre indebite in casi del genere, l’onestà intellettuale ci impone tuttavia di riconoscere il dato di fatto che in merito alla figura femminile in quanto tale, al ruolo sociale e civile della donna e alla sua tutela giuridica, le diverse culture hanno mentalità, costumi, usi, sensibilità, prassi e norme profondamente diversi. Se è vero che non tutti i musulmani sono violenti e misogini, è almeno altrettanto vero che mentalità, usi, costumi e ordinamenti giuridici dei paesi occidentali in merito alla questione femminile (ma non solo, si pensi alla libertà religiosa e soprattutto di coscienza del singolo) sono profondamente diversi da quelli dei paesi islamici, compresi quelli meno distanti dall’Occidente, quali Turchia o Tunisia. Ora, questa innegabile diversità della sensibilità e dell’orientamento etico e giuridico dell’Islam rispetto all’Occidente sulla questione della donna difficilmente può essere considerata estranea ai numerosi, ancorché minoritari, casi di violenza sulle donne in cui sono implicati maschi islamici. I pur preoccupanti casi di violenza esercitati da occidentali sulle donne sono certamente ascrivibili a una mentalità patriarcale e maschilistica che, se tuttora infesta alcune società dell’Occidente, per esempio l’Italia, il cui assetto sociale e culturale sconta arretratezze in altri paesi superate, tuttavia è da considerarsi sempre più residuale, ovvero un fossile che ancora sprigiona consistenti effetti venefici, ma, benché con una tendenza non lineare, in via di lento superamento. Mi pare evidente invece che la stessa considerazione non può essere estesa ai paesi islamici, dove il maschilismo e la pesante discriminazione di cui le donne sono vittime risultano profondamente radicati nella mentalità, nella sensibilità più profonda vorrei dire, e negli ordinamenti giuridici e quindi tutt’altro che residuali. A qualcuno il mio punto di vista sulla situazione della donna in Occidente potrà sembrare, forse anche con qualche ragione, eccessivamente ottimistico. Rimane comunque vero che la condizione femminile in Europa e nel resto dell’Occidente ha conosciuto, attraverso un processo lungo e faticoso e non privo di contraddizioni, un’emancipazione che in altre aree del mondo, non solo islamiche peraltro (si pensi all’India, ma anche alla Cina), pare del tutto di là da venire.
        Concludo osservando che se certamente non si possono e non si devono esportare dall’Occidente verso gli altri paesi e culture la democrazia e il “progresso”, nemmeno si deve consentire che si importino in Europa da altri paesi e culture la tirannia e l’arretratezza.

  14. Giulia Blasi io non ti conosco di persona, ma hai scritto esattamente tutto quello che penso sulle donne e sul mondo in cui vi trovate e ci troviamo a vivere. Condivido, da uomo, ogni singola parola. Hai scritto esattamente quello che avrei voluto scrivere su questa storia tanto orribile quanto oscura e sulle solite, squallide strumentalizzazioni e menzogne che sta producendo. Ma credo che solo una donna possa scrivere così bene e con così tanta verità su questo argomento.
    Non so quanti insulti riceverai, è il prezzo da pagare di fronte ai “machi” e ai frustrati da tastiera, ma so che saprai ignorarli. Non contano niente. Con questo articolo li hai già annichiliti.
    Grazie
    Massimiliano

    1. È tutto a posto. Le reazioni a questo pezzo erano messe in conto e sono come la schiuma dell’acqua ossigenata: se non ci fosse, non ci sarebbe una ferita da pulire. Sono, invece, molto contenta (ma non sorpresa) del numero di uomini che hanno condiviso il mio pezzo: sono certa che questa conversazione non sia più una cosa fra noi, ma qualcosa che coinvolge tutti.

    2. Massimiliano, ho una notizia da darti. Negli ultimi cento anni, decennio più decennio meno, in Occidente si è svolto un processo che va sotto il nome di emancipazione femminile, che naturalmente si è dipanato non senza contraddizioni ed è ancora lungi dal potersi considerare concluso. In alcuni paesi, tra i quali la Germania, esso è in fase avanzata, in altri come l’Italia, che sconta specifiche arretratezze, la strada da fare è ancora tanta, soprattutto in determinati contesti sociali e geografici. Nondimeno, la situazione femminile in Occidente è incomparabilmente migliore di quella di altre aree e culture del pianeta, Islam, ma anche India e Cina. Negare ciò significa negare un’evidenza palmare. Per quanto riguarda i fatti di Colonia, premesso che è giusto e doveroso mettere in guardia dalla possibile deriva xenofoba e persino razzista indotta dalla percezione di determinati avvenimenti e dalla loro analisi sommaria, che la responsabilità penale è personale e che le generalizzazioni sono sempre indebite in casi del genere, l’onestà intellettuale ci impone tuttavia di riconoscere il dato di fatto che in merito alla figura femminile in quanto tale, al ruolo sociale e civile della donna e alla sua tutela giuridica, le diverse culture hanno mentalità, costumi, usi, sensibilità, prassi e norme profondamente diversi. Se è vero che non tutti i musulmani sono violenti e misogini, è almeno altrettanto vero che mentalità, usi, costumi e ordinamenti giuridici dei paesi occidentali in merito alla questione femminile (ma non solo, si pensi alla libertà religiosa e soprattutto di coscienza del singolo) sono profondamente diversi da quelli dei paesi islamici, compresi quelli meno distanti dall’Occidente, quali Turchia o Tunisia. Ora, questa innegabile diversità della sensibilità e dell’orientamento etico e giuridico dell’Islam rispetto all’Occidente sulla questione della donna difficilmente può essere considerata estranea ai numerosi, ancorché minoritari, casi di violenza sulle donne in cui sono implicati maschi islamici. I pur preoccupanti casi di violenza esercitati da occidentali sulle donne sono certamente ascrivibili a una mentalità patriarcale e maschilistica che, se tuttora infesta alcune società dell’Occidente, per esempio l’Italia, il cui assetto sociale e culturale sconta arretratezze in altri paesi superate, tuttavia è da considerarsi sempre più residuale, ovvero un fossile che ancora sprigiona consistenti effetti venefici, ma, benché con una tendenza non lineare, in via di lento superamento. Mi pare evidente invece che la stessa considerazione non può essere estesa ai paesi islamici, dove il maschilismo e la pesante discriminazione di cui le donne sono vittime risultano profondamente radicati nella mentalità, nella sensibilità più profonda vorrei dire, e negli ordinamenti giuridici e quindi tutt’altro che residuali. A qualcuno il mio punto di vista sulla situazione della donna in Occidente potrà sembrare, forse anche con qualche ragione, eccessivamente ottimistico. Rimane comunque vero che la condizione femminile in Europa e nel resto dell’Occidente ha conosciuto, attraverso un processo lungo e faticoso e non privo di contraddizioni, un’emancipazione che in altre aree del mondo, non solo islamiche peraltro (si pensi all’India, ma anche alla Cina), pare del tutto di là da venire.
      Concludo osservando che se certamente non si possono e non si devono esportare dall’Occidente verso gli altri paesi e culture la democrazia e il “progresso”, nemmeno si deve consentire che si importino in Europa da altri paesi e culture la tirannia e l’arretratezza.

      1. Hai intenzione di copiare e incollare il mappazzone ancora per molto? È la terza volta che “hai una notizia” da dare a qualcuno. Ti do una notizia io: la sintesi è la benvenuta, dire una cosa solo una volta è sufficiente.

    3. Massimiliano, di insulti qui io non ne ho letti nemmeno uno! Argomentate e civili repliche nelle quali si spiegava il proprio dissenso da quanto rappresentato nell’articolo invece si. Vorresti classificare questi commenti, educatamente in disaccordo con Giulia Blasi come espressione dei “frustrati da tastiera”? No, giusto per capire se qui bisogna adeguarsi ad un pensiero unico.

  15. Mi piace questa analisi. Un po’ spietata, un po’ pessimista, ma lucida. Attenzione però ad un fatto: stiamo confrontando una violenza socialmente e giuridicamente inaccettabile (per quanto ci dicano che ce la siamo cercata, molti ci appoggeranno. Per quanto possiamo temere le uscite in solitaria, pochi sono quelli che si riterranno in diritto di aggredirci) con una violenza socialmente apprezzabile e condivisa. Sono la mamma di una ragazza di terza media; mi sono imbattuta per caso, e oserei dire per fortuna, nel problema culturale/informativo delle mutilazioni genitali femminili, quando nella classe di mia figlia uno degli studenti ha espresso apprezzamento per tale pratica (“fanno bene… lo fanno per il bene delle ragazze…”). Ciò che rende questo ragazzo diverso dai nostri figli è la convinzione che sia giusto mutilare, molestare, violare le ragazze. I nostri figli magari lo faranno lo stesso, ma sapranno che è sbagliato. Sto provando ad approfondire, studiare, contattare associazioni, ma nessuno è disposto ad ammettere che la cultura sulla violenza di genere va iniziata all’asilo, e va trattata con un linguaggio ed una profondità che siano compresi non solo dai nostri figli, ma anche dai figli di coloro che ritengono che l’infibulazione “sia per il bene delle ragazze”.

  16. Notizia di oggi riportata dal sito di “Repubblica” : Il portiere della nazionale iraniana ai campionati del Mondo 2014, è stato arrestato il 4 gennaio per alcune immagini postate su Instagram, che lo ritraggono abbracciato a due ragazze senza velo. Lo riporta il sito iraniano dei Diritti Umani. Sosha Makani, calciatore della squadra Persepolis, avrebbe violato l’articolo 17 della legge iraniana sui crimini informatici e rischierebbe dai 90 giorni ai due anni di prigione. Il suo avvocato sostiene che i profili social di Makani sono stati hackerati e che quindi lui non è responsabile dell’azione illegale.”

    Questa è la situazione legislativa sulla libertà delle donne in certi paesi islamici…. non sono razzista, ma nemmeno mi copro gli occhi con fette di prosciutto.
    Finché ci saranno queste situazioni, è inutile dire “tanto siete tutti maschilisti”

  17. Ciao Giulia,
    non sono d’accordo con quanto sostieni soprattutto per la modalità con cui le violenze sono avvenute, non sono uguali agli episodi di molestie sessuali alle quali anche qui in occidente le donne sono sottoposte, dobbiamo ritornare ad episodi della seconda guerra mondiale o alla Jugoslavia per avere un così alto numero di vittime e partecipanti.
    Inoltre ho dovuto leggere che noi non siamo in grado di insegnare a nessuno, sbagliato, noi siamo in grado di dimostrare che la nostra società ed il nostro stile di vita è decisamente più favorevole alle donne, non perfetto, migliorabile, ma in molti paesi hanno molto da imparare sul rispetto alle donne.
    Hai letto l’intervista delle giornaliste (Lara Logan corrispondente CBS, Sonia Dridi e Caroline Sintz francesi) violentate in Piazza Tahir in Egitto, o di tutte le altre donne che avevano osato manifestare durante la cosiddetta primavera araba (oltre un centinaio)?
    Hai letto o sentito discussioni, proteste o solo considerazione, anche dalle femministe, su questi emblematici episodi di violenza in un momento di gioia, basta cercarle su YouTube.
    Hai letto delle ragazze Yazide o di quelle 450 rapite mentre erano a scuola, ma come fai a fare paragoni.
    Dobbiamo considerare che molti immigrati provengono da paesi dove è in vigore la sharia (è semplicemente vero non sono xenofoba), dimmi se possiamo lontanamente considerare civile come in questi paesi si risolvono i problemi ad esempio in caso di adulterio, o sospetto spionaggio, se avete sangue freddo collegatevi al blog http://www.raqqa-sl.com/en/ creato da coraggiosi ragazzi di Raqqa che credevano nella possibilità di migliorare il loro paese (una blogger è già stata uccisa) e potrete vedere come viene amministrata la giustizia.
    Non faccio di tutta un erba un fascio, ma il comportamento che hanno avuto a Colonia non è compatibile con la nostra società è questo va detto, se non vogliamo che veramente al potere vadano i movimenti dell’estrema destra.
    Uno stato civile dovrebbe rifiutare l’accoglienza indiscriminata basata sui campi profughi (e relativi business), ma dovrebbe ragionare sulle possibilità di lavoro e d’istruzione, sui diritti e sui doveri.

    Ciao Carla

  18. […] Oggi è il 6 marzo 2016. Tra poco sarà la festa della donna e sono passati due mesi da quando si è diffusa la notizia delle molestie di massa subite da una grande quantità di donne durante il capodanno di Colonia.  Finora avevo omesso di parlarne se non con pochissime persone ma da ieri è cambiato qualcosa. Sono stata invitata dalla Città delle donne di Lucca a parlare di quello che era successo insieme a Giulia Blasi e Daniela Grossi e nonostante il tema mi sono divertita. È scandaloso dire questo? Forse un po’ sì ma in realtà la fase della rabbia e dell’indignazione l’ho già passata e non mi sento in colpa per cercare di rovesciare la logica della violenza in un prospettiva rivolta al futuro. Del resto come la maggior parte delle donne non sono esente da episodi di molestia e l’ho raccontato nel mio post Le zozzette in relazione a uno dei tanti episodi di colpevolizzazione della vittima. Giulia Blasi, poco tempo fa lo ha raccontato in un post che ha avuto molto successo riferito ai fatti di capodanno e intitolato La Colonia in sé e la Colonia in te. […]

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