Il Fertility Day e il corpo come pubblico demanio

Domani, 1 settembre, avrei dovuto partecipare a un incontro con la Ministra della Salute Beatrice Lorenzin in occasione del lancio del Fertility Day, giorno dedicato alla fertilità. Avevo in programma di farle una domanda sulla questione dell’obiezione di coscienza negli ospedali. Poi è uscita la campagna a sostegno dell’iniziativa, e ho deciso di rinunciare. Ne riporto solo alcune immagini, dato che la sezione del sito che conteneva la totalità di queste perle è indisponibile da almeno un’oretta, forse in un soprassalto di decenza che equivale a chiudere la stalla quando i buoi stanno già belli che due praterie più in là.

È impossibile a una mente sensata capire cosa passasse per la testa di chi ha concepito, elaborato e approvato questo capolavoro, che mescola ansia e pressione sociale a un linguaggio infantile e paternalistico e a suggestioni da Ventennio fascista. Sta di fatto che su queste premesse mi pareva un po’ surreale tentare anche solo un dialogo sulla questione dell’obiezione selvaggia, che nel contesto della campagna mi pare assuma tutto un altro senso: ti incoraggiamo, no, ti bullizziamo perché tu faccia figli, e se sei incinta per errore ti rendiamo difficilissimo interrompere la gravidanza. Se no il welfare chi lo sostiene?

Ma fossero solo gli obiettori, il problema: fare figli – un’incombenza che ricade quasi esclusivamente sulle donne, e non solo dal punto di vista biologico – è un handicap lavorativo e sociale. Se fai un figlio e non sei una delle poche lavoratrici ancora tutelate dalla legge (quindi una che è riuscita miracolosamente a farsi fare un contratto stabile nonostante fosse in età fertile: perché c’è ancora che chi le donne non le assume per non dover pagare la maternità e lo mette in chiaro fino dal primo colloquio) vai incontro alla povertà. Gli asili nido abbordabili sono pochissimi, le scuole dell’infanzia idem, e quando guadagni esattamente quello che ti costa mandare il piccolo al nido o all’asilo tanto vale stare a casa a crescerlo. Queste sono le non-scelte imposte alle donne italiane, non-scelte che le si vorrebbe obbligare ad anticipare con tattiche che sono antipatiche se le applica mia madre, figuriamoci il governo.

Ma non finisce qua. Ecco lo slogan della campagna:

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“Per te, per noi, per tutti”. Nel 1996, lo stupro passò da essere reato contro la morale a reato contro la persona: il corpo non era più pubblico demanio ma proprietà privata di una persona sola. Vent’anni dopo, la fertilità viene definita un bene comune. Il mio corpo rimesso a disposizione di tutti per il ripopolamento del paese. Roba che Margaret Atwood si fa venire le bolle (e se non avete letto Il racconto dell’ancella cosa vi devo dire, io?)

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Ci siamo giustamente offesi quando Silvio Berlusconi se ne uscì con la storia che “Eluana Englaro poteva ancora avere figli”. Eluana Englaro era in coma irreversibile e quegli eventuali figli li avrebbe avuti solo nella più totale mancanza di coscienza, fungendo da incubatrice e nulla più. Berlusconi, come sempre, si faceva portatore di un pensiero diffuso che lega il valore delle donne alla loro capacità riproduttiva: vali finché puoi essere madre, poi non vali più niente.

Della fertilità e della salute riproduttiva (questioni importanti, che attengono all’integrità e alla realizzazione dell’individuo) non frega niente a nessuno, meno che mai alla Ministra della Salute: che altrimenti renderebbe la contraccezione gratuita e di facile accesso (senza spazio per false obiezioni di coscienza e gente che non ti vende i contraccettivi d’emergenza perché contrario alla sua religione), farebbe sparire gli obiettori dagli ospedali, istituirebbe corsi di educazione sessuale nelle scuole che includano anche una forma di educazione affettiva e limitino un po’ i danni del porno assunto in età troppo precoce per capire che si tratta di una fantasia, chiederebbe l’immediata abrogazione della legge 40 sulla fecondazione assistita. A tutti questi interventi, utili e sensati e in qualche caso necessari per rispettare la Costituzione, si è preferita una campagna basata su slogan da far rabbrividire, che ha scatenato immediatamente uno tsunami di polemiche. Una campagna che ha avuto dei costi, perché per sviluppare il Fertility Game un po’ di soldi saranno stati spesi, come anche per organizzare l’intera iniziativa. Soldi nostri. In pratica abbiamo pagato per farci trattare da fattrici.

Ecco perché domani non andrò a incontrare la ministra: non voglio avallare in alcun modo una campagna sbagliata, starata e offensiva. Soldi buttati che esprimono solo l’incapacità di guardare al di là del proprio naso e vedere il quadro generale delle cose.

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