Il commento è morto, viva la conversazione

Qualcuno se ne sarà accorto, anzi, qualcuno se n’è accorto di sicuro: ho chiuso i commenti del blog. È successo all’improvviso, dopo questo post, e quando l’ho fatto ho capito che era la cosa giusta, almeno per me, in quel momento. Il rigido sistema di moderazione che applicavo ai commenti mi stava costringendo a leggere una per una tutte le risposte e decidere di volta in volta se potevano essere o meno pubblicate, cosa che – per come funzionava la moderazione – permetteva agli autori dei commenti di postare poi senza approvazione. Ovviamente c’è stato chi se n’è approfittato, e a quel punto ho deciso: basta.

Nel momento in cui lo facevo si trattava solo di soddisfare un bisogno immediato, ovvero quello di fare un po’ di silenzio: quello che dovevo dire l’avevo detto, non avevo né il dovere di difendermi né quello di argomentare oltre le mie posizioni. Era tutto lì, prendere o lasciare. Al post successivo ho chiuso tutto prima della pubblicazione. Volevo vedere come sarebbe andata. Quel post è attualmente il più letto di tutto il blog, incluso quello su Colonia. Questo significa che la gente lo ha letto e lo ha diffuso, lo ha fatto girare, lo ha commentato altrove, ne ha discusso.

Credo che siamo pronti per dirlo: il commento è morto. È stato reso obsoleto dai social media, da quella che potremmo chiamare “conversazione distribuita”: dato un argomento, ognuno ne può parlare dove e come vuole. Quella che era un tempo la funzione del commento – fornire uno spazio per il confronto, la risposta, il dibattito, al netto di quelli che scrivevano “Primo!” nei commenti del Daveblog – è stata diluita e infine soppiantata dalla possibilità di avere cento, mille, milioni di dibattiti in mille sedi diverse. Dibattiti che possono prendere anche la forma di uno scontro duro, più spesso di un parlarsi addosso dove nessuno ascolta gli altri, ma che diventano anche responsabilità di chi li ha fatti partire. Ognuno è community manager di se stesso e decide in che forma condurre la discussione (anche a seconda degli amici che si è scelto, diciamolo).

Le conversazioni avvengono dove avvengono, e il commento in quanto tale ha fatto il suo tempo. Tanto per cominciare, è isolato: si trova in un posto solo, un posto che chi legge un articolo in rete ha imparato a evitare. Alzi la mano chi legge i commenti sotto gli articoli di Repubblica o del Fatto Quotidiano: io ho rispetto del mio fegato. Il che ci porta direttamente al fatto che il commento nativo del sito – ovvero non legato a un profilo Facebook di chi commenta – è deresponsabilizzante. Un insulto o una frase aggressiva depositata in un blog non si mostrano nei tuoi feed personali. Nessuno vedrà che sei uno stronzo. È l’equivalente Internet di buttare la tua vecchia cucina a gas sul marciapiede di qualcun altro: te ne puoi andare fischiettando e lasciare che sia l’autore del blog a caricarsi l’incombenza di smaltire le tue scorie.

L’assunzione di responsabilità rispetto ai propri contenuti è uno dei motivi che fanno sì che su Medium la qualità dei post sia piuttosto alta. Qualsiasi risposta uno depositi in calce a una storia altrui diventa una storia nel suo feed: alla responsabilità si aggiunge quindi anche una certa ansia da prestazione. Medium non è un posto dove fare troppo i cretini.

Il commento è morto, e testate come Internazionale ne fanno tranquillamente a meno, da sempre, per scelta. Altrove – in tutti i quotidiani e siti d’informazione – si mantiene aperto uno spazio che diventa rapidamente un pantano di frustrazioni, sfoghi, fascismi di ogni genere, punteggiatura creativa e grammatica fantasiosa. Un ambiente in cui è molto più facile essere attaccati a livello personale, con argomentazioni bassine, irrazionali o direttamente offensive, che avere un confronto costruttivo con persone che possono pensarla diversamente, ma che sono in grado di gestire una conversazione. La carenza o assenza di moderazione fa il resto: le persone con idee strutturate difficilmente hanno voglia di confrontarsi con chi è lì solo per sfogare una frustrazione a forza di luoghi comuni e punti esclamativi.

Il confronto costruttivo avviene più facilmente in un contesto in cui chi parla si conosce, anche solo superficialmente, ed è legato da un rapporto di rispetto nei confronti di chi ha lanciato la conversazione. No, non ho detto che avvenga sempre. Dico che se avviene è lì: perché forse conosci gli altri commentatori, se non li conosci immagini che conoscano il proprietario della bacheca Facebook dove hai trovato il link, per cui ti regoli. E se non ti va di parlarne con loro puoi sempre ricondividerlo da te, dove ci sono i tuoi amici, e prima o poi qualcuno con idee diverse dalle tue salta fuori (anche a seconda del livello di privacy che scegli, va detto). Il link comunque viaggia, aumentano le conversazioni, più gente ne parla ovunque.

Va a finire che ci aveva visto lungo Luca Sofri, che su Wittgenstein era partito senza commenti e poi si decise ad attivarli; ma era molto prima che degli articoli e dei post si potesse parlare in mille posti che non sono gli articoli e i post stessi. Il commento è morto, viva la conversazione.

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