Quindi ci siamo, dalle 12.00 di oggi – Eastern Time degli Stati Uniti – Donald Trump non sarà più presidente, Joe Biden giurerà sulla Bibbia (da bravo cattolico) e comincerà il suo mandato. Gli americani tirano un sospiro di sollievo e sperano di dimenticarsi che esiste, perché dopo quattro anni in cui hanno strippato ogni volta che vedevano scritto “BREAKING NEWS” da qualche parte, ora sperano di essere lasciati in pace. Biden parte con l’asticella bassa, perché fare peggio di Trump è impossibile in tutti i sensi.
Questo non significa che la lotta sia finita. Significa solo che si ricomincia a lottare con senso.
Pandemia a parte, e già quello è un problema gigante, molti dei problemi della società americana esistevano da prima di Trump, e sono problemi sistemici, non circostanziali. La soppressione del voto degli afro-americani e dei poveri, la carcerazione di massa, il razzismo, un sistema di voto pensato per attribuire un maggior peso elettorale agli Stati del sud dopo la sconfitta nella Guerra Civile, il capitalismo insostenibile che allarga la forbice fra chi ha molto e chi non ha niente, l’assenza di un servizio sanitario accessibile e sostenuto dalle tasse, la difficoltà ad accedere a un’istruzione universitaria di qualità se non si hanno i fondi necessari a pagare le rette astronomiche, le discriminazioni ai danni della comunità LGBTQ. Tutta roba che c’era prima e c’è ancora adesso.
La differenza c’è, però e qui entra il discorso sulla politica nostrana. Lottare contro un avversario magari ottuso e lento e conservatore ma ancorato ai fatti e alla realtà è radicalmente diverso rispetto a lottare contro un governo di estremisti di destra che usano la mistificazione e le balle per aumentare il proprio consenso elettorale. Il discorso di Salvini al Senato ieri, durante il voto di fiducia al governo Conte, era infarcito di assurdità, falsità, parole d’ordine pensate per stimolare i suoi sostenitori e farsi notare. Il vuoto politico più assoluto, pensato per far incazzare chi lo ama e chi lo odia e pure me, che sto qua a scriverne.
È tutto molto frustrante? Sì. È ora di cominciare a parlare delle cose che succedono, interessarci, comprenderle e capire come si può agire sul reale? Anche. La settimana scorsa, su Instagram, ho fatto un’ora secca di diretta con Giuditta Pini, parlamentare del PD, per parlare di Recovery Plan e di come quei fondi possono essere utilizzati per incentivare la parità di genere (trovate il video qui). È la prima di quello che spero essere una serie, che ho chiamato #votafemminista: un’idea che ho avuto all’inizio del 2019 e che non ho mai trovato il modo di realizzare perché pensavo sempre troppo in grande, e invece forse dovevo farla così, agile. Il 24 viene ospite Lia Quartapelle, sempre PD, per parlare di Half of It/Il Giusto Mezzo e del libro che ha scritto con Giuliano Pisapia, La politica raccontata ai ragazzi. Ci sono altri nomi in lista, ma vi aggiorno man mano che sono confermati.
L’obiettivo è parlare di politica da un punto di vista femminista, che metta le donne al centro, piuttosto che trattarle come voci di spesa o colonnini acchiappavoti. La storia ci insegna che organizzarsi per un obiettivo porta a grandi risultati: io comincio dal chiarirmi gli obiettivi di breve e medio periodo. Lo faccio con i miei mezzi e parlando con le persone che mi sembra abbiano qualcosa di costruttivo da dire, concentrandomi in prevalenza su chi ricopre cariche elettive o lavora nelle istituzioni.