E insomma, nel club dei saggi designati da Napolitano per tenere in piedi la baracca non c’è neanche una donna. Non ne hanno trovata neanche una che fosse abbastanza saggia, qualunque cosa voglia dire “saggio” a questo punto (e posto che “saggio” si possa applicare a Gaetano Quagliarello o a un qualsiasi leghista, cosa di cui tenderei a dubitare).
Sembra quasi che le donne, in queste faccende, entrino solo quando qualcuno si ricorda di ficcarcele dentro per mantenere una parvenza di quota. E appena sbagliano – perché essendo persone, sbagliano – tutti a torcersi le mani: sbaglia una, sbagliano tutte. E con la stessa logica escono cose tipo questa:
Una a caso, non importa quale. Arrangiatevi, lui ha pensato una notte intera e non è riuscito a farsene venire in mente neanche una da mettere fra i saggi, figurarsi se riesce a farne uscire una che lo sostituisca. Fate un po’ voi.
È abbastanza una coincidenza che la parte in causa sia sempre Giorgio Napolitano, che se non altro ha la scusa dell’età: appartiene alla generazione che lasciò andare Teresa Noce dopo la separazione da Luigi Longo e fu complice della marginalizzazione di Nilde Iotti fino alla morte del compagno. La generazione di Napolitano è quella che scrisse nella Costituzione che l’essenziale funzione della donna è la famiglia, pur avendo visto le donne combattere e morire nella Resistenza. Se la portano dietro, quell’idea di donna come subalterna anche quando dimostra di possedere una statura politica autonoma e notevole.
La buona notizia è che per una volta non ce ne siamo accorte solo noi femministe rompicoglioni, ma un po’ tutti, anche quelli che se gli dici “femminista” si sentono poco bene e chiedono un cordiale, quelli che pensano che il femminismo sia un movimento di oppressione del maschio e usano “femminista” come incapsulatore di “odia gli uomini” (e l’ho visto fare, di recente, anche da donne di sinistra che al femminismo devono un bel po’ di cose, inclusa la possibilità di candidarsi a cariche politiche, lavorare fuori casa, accedere a contraccezione e cure mediche, cose così, robette da nulla). Se ne sono accorti, ecco, un po’ tutti: e in un momento in cui le presenze femminili in Parlamento raggiungono picchi storici, quando c’è da chiamare della gente per fare delle proposte di legge i maschi chiamano altri maschi. Maschi anziani, per giunta, ché la saggezza è per definizione una roba da vecchi: se no li avrebbero chiamati “esperti”, ché per quello basta essere capaci, e non serve proprio avere un piede nella fossa e un’appendice fra le gambe.
Brava Giulia.
io spero che Lei non voglia capire apposta il senso dell’art. 37 Cost.;
l’art. 37 Cost., che recita:
“Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”,
è una norma posta a tutela della donna lavoratrice (non casalinga, quindi), ed è la norma fondamentale su cui si fonda tutta la normativa antidiscriminatoria a tutela della lavoratrice madre;
la funzione familiare femminile ritenuta “essenziale” dal legislatore costituente è quindi solo quella di portare avanti la gravidanza (che è incontestabilmente una funzione essenzialmente femminile);
l’articolo non dice assolutamente che la donna si deve realizzare essenzialmente nella famiglia (come del resto è ovvio, posto che l’articolo è destinato alle donne lavoratrici ed è inserito nel capo della Costituzione relativo ai rapporti economici, quello sul lavoro e l’impresa, per intenderci); l’articolo dice invece che niente deve (dovrebbe) impedire ad una donna che lavora di avere un figlio
con la solita certezza