Una battuta casuale, la misoginia endemica, e cose che si potevano fare meglio

Ammettere di aver fatto una stupidaggine, commesso una leggerezza, esagerato, detto una cosa nell’impeto dell’irritazione è una cosa che sui social non usa. È successo a tutti, a me più di una volta, e ho deciso che lasciarla cadere non è il modo migliore per affrontarla. Non si cresce, non si impara niente, si rimane solo incancreniti nel proprio rancore. È difficile ma oh: qualcuno deve farlo. Comincio io.

La riassumo rapidamente: ieri ho visto una battuta molto molto brutta fatta da Roberto Burioni, l’immunologo che un po’ tutti conosciamo per la sua instancabile (e sacrosanta) battaglia a favore dei vaccini. Era una battuta misogina, di quella misoginia casuale che è ancora più terrificante proprio per la sua mancanza di coscienza. La battuta è qui sotto (non sono riuscita a incorporarla, fatevi bastare lo screenshot).

L’intero thread, in cui cercavo di spiegare il problema di quella battuta, lo trovate qui. La cosa che mi dispiace di aver scritto, l’unica, perché poteva essere facilmente fraintesa (e lo è stata) è questa.

Sono abbastanza vecchia da sapere che quello che conta non è quello che intendevi con quello che hai detto, ma quello che fa alle persone. Il professor Burioni si è sentito offeso da queste parole, e questo mi basta per fargli le mie scuse. A torto non si risponde con altro torto: è da scemi.

Detto questo, non suoni come un’autogiustificazione quello che sto per dire. Non lo è. Quello che davvero pochi uomini capiscono nonostante anni di pazienti spiegazioni, è che le battute così non sono una rarità, nella nostra vita. Le dobbiamo subire di continuo. Lo stereotipo della moglie succhiasangue, per giunta accostata a una “cosa” per il puro gusto della battuta, è parte della cultura che ha portato alla stesura del DDL Pillon, pensato proprio per punire le mogli che osano separarsi, magari dopo aver rinunciato al lavoro per badare alla famiglia. Donna = cosa è il motivo per cui veniamo stuprate, picchiate, insultate, uccise. Il 41% di noi non lavora; la violenza economica (mariti che controllano i soldi e impediscono alle mogli di lavorare fuori casa) è un fenomeno diffuso. Molte donne non sanno gestire i soldi, passano dalla casa paterna a quella coniugale senza essere mai state sole. L’Italia non è Milano, non è Roma, non è Bologna. L’Italia è piena di posti dove le donne sono guardate a vista e non hanno alcuna autonomia. E di tutto questo veniamo sistematicamente incolpate, come se fosse un nostro limite. Come se fossimo tutte dei parassiti che scelgono di campare a spese del coniuge.
Tutto questo, come un universo pieghevole che si richiude su se stesso, è contenuto dentro quella battuta. A vederla da lontano, sembra pesare poco. Invece ha la densità di millenni di oppressione.

Quello che vorrei spiegare al professor Burioni è che la misoginia è una malattia endemica, come il favismo, come l’anemia mediterranea. Si trasmette con i legami familiari, attraverso l’ambiente circostante. La maggior parte di noi non sa di essere misogino, e si offende moltissimo se gli vengono indicati difetti nel suo comportamento che rivelano quella matrice. Ho le caselle dei messaggi piene di storie di donne, di ragazze che mi raccontano che il capo del loro compagno non fa colloqui alle donne. Che il collega non vuole lavorare con loro perché sono donne, e non ne fa mistero. Che il capo le fa oggetto di continui apprezzamenti sessuali e battute. Mi raccontano queste storie non perché io ci possa fare qualcosa, ma per non impazzire di rabbia. Perché è difficilissimo farsi valere. Chi tira i cordoni della borsa non ama essere corretto. Quel tipo di abuso è ancora più soddisfacente se la persona che lo subisce non può difendersi.

Così, un po’ come il professor Burioni con quelli che gli dicono che di morbillo non si muore, mi è partita la brocca. Ognuno ha la sua area di expertise, per così dire: lui le malattie infettive, io il maschilismo. Non sono fiera di questo sbrocco: passo molto del mio tempo a cercare di essere misurata, anche quando – appunto – mi viene da urlare. E non mi prendo mai il disturbo di stigmatizzare la battuta stupida fatta dall’ultimo degli stronzi dell’internet. Un uomo con il seguito mediatico di Roberto Burioni dovrebbe sapere, però, che la sua visione del mondo si esprime anche così, anche con queste battute fatte in pubblico, sui social, senza pudore. Un uomo con la visibilità e la credibilità di Roberto Burioni è responsabile di quello che dice in pubblico, è responsabile della cultura che contribuisce a creare. Lo siamo tutti.